Sacerdote e dottore della Chiesa (1195-1231)

Il suo nome di battesimo fu Fernando, nacque il 15 Agosto del 1195 a Lisbona, capitale del Portogallo, dalla nobile famiglia, dei Bulhoes y Taveira de Azevedo che annovera tra i suoi membri il prode Goffredo di Buglione, condottiero della prima crociata.
Fin da ragazzo avvertì il desiderio di seguire il Signore per dedicarsi totalmente a lui.
Entrò quindicenne nella collegiata dei canonici regolari di sant’Agostino.
Dotato d’intelligenza acuta, brillante e appassionato allo studio, con impegno e costanza si costruì un eccezionale bagaglio di conoscenza.
Le innate doti di oratore delineavano per lui un brillantissimo futuro, del quale tuttavia non si sentiva totalmente convinto.
Gli elogi di tutti i superiori e i grandiosi progetti dei suoi parenti per la carriera ecclesiastica non potevano appagare appieno le aspirazioni del suo animo generoso.
Il giovane monaco, dedito allo studio e alla contemplazione, dimostrava una certa inquietudine, rifuggiva i luoghi chiassosi, non gradiva il viavai di personaggi influenti che frequentavano il grande monastero.
Ottenne di essere trasferito nel più modesto monastero di Coimbra e fu lì che, durante il servizio ai mendicanti, conobbe i cinque frati inviati da San Francesco a predicare il Vangelo in Marocco.
Il coraggio e la forza interiore dei poveri fraticelli, consapevolmente diretti al martirio tra gli infedeli, sconvolse l’esistenza del giovane Fernando.
Quando, pochi mesi dopo, i feretri dei frati decapitati sostarono presso il monastero di ritorno dal Marocco, prese la decisione irrevocabile: anche lui avrebbe dato la vita per l’evangelizzazione degli infedeli! Si presentò così al convento dei francescani, che in realtà era un miserissimo romitorio, assai diverso dall’austero ma confortevole monastero e chiese di indossare il saio del poverello di Assisi, ad una condizione: che gli fosse permesso di recarsi tra gli infedeli.
In segno di umiltà, volle prendere il nome di sant’Antonio Abate, scritto sullo stipite dell’ingresso, al quale era dedicato il convento.
Ben presto partì per il Marocco, ansioso di dare la vita per la conversione degli infedeli, ma venne colpito da una strana malattia che lo tenne bloccato a letto, febbricitante e senza forze, per molto tempo, finché non decise di fare ritorno in patria, in attesa di ristabilirsi.
Ma la nave, sulla quale era imbarcato, sbattuta per giorni da una furiosa tempesta, naufragò sulle coste della Sicilia.
Proprio, qui in Sicilia, nella località “Cannedda”, (territorio di Capizzi ancora fino al 1898), il Santo dei Miracoli si fermò e si riposò per una notte intera. A Messina rintracciò una comunità di frati minori, proprio mentre era in procinto di partire per recarsi ad Assisi per il celebre “Capitolo delle stuoie”.
Era il 1221 e anche frate Antonio, prodigiosamente ristabilito dalla malattia, s’incamminò con gli altri frati.
Non sappiamo se ebbe modo di incontrare e parlare con Francesco, in quei giorni ad Assisi era presente una moltitudine di frati e tutti lo volevano vedere e toccare.
Di certo sappiamo che il giovane frate Antonio, restò fino all’ultimo senza destinazione, nella sua estrema umiltà non si era proposto per nessun incarico. Lo avvicinò il superiore della provincia di Romagna.
Sentendo che era sacerdote, lo invitò ad andare con lui, per stabilirsi nell’eremo di Montepaolo, sperduto tra le montagne dell’Appennino, dov’era una comunità di soli frati laici.
A Montepaolo Antonio trascorse un paio d’anni che poi ebbe a ricordare come il più bel periodo della sua vita.
Era dedito ai lavori più umili, al raccoglimento, alla preghiera. Finché un giorno, durante una celebrazione presenziata dalle autorità del suo ordine e dei frati predicatori, allorché nessuno si era preparato l’omelia, per timore di brutte figure, gli diedero l’incarico al giovane fraticello di dire qualche parola di circostanza.
Nella peggiore delle ipotesi si sarebbe dato la colpa alla sua inesperienza. Con sorpresa di tutti, Antonio tenne una predica tanto ricca di contenuti e di sentimenti che i presenti rimasero strabiliati.
Quel giorno ebbe termine la vita appartata e nascosta di Antonio che inizia così il suo cammino di predicazione per le polverose strade dell’Italia settentrionale e dell’Europa. La predicazione di Antonio era accompagnata da fatti prodigiosi e miracoli.
Si rivolgeva principalmente alle città più difficili, dove gli eretici la facevano da padroni e sfidavano apertamente la Chiesa.
Nelle sue peregrinazioni, non perdeva occasione per battersi a favore degli oppressi e dei poveri, anche a rischio della propria incolumità e della propria vita, incontrava ricchi, potenti e governanti, ovunque sono rimaste opere benefiche ed istituzioni dovute al suo interessamento.
Alle celebrazioni di frate Antonio accorrevano moltitudini di fedeli, popolazioni di intere città erano edificate dalle sue parole e cambiavano i propri atteggiamenti e costumi. Negli ultimi tempi, sfossato dalla fatica e dalla malattia (soffriva di idropisia) su invito dell’amico conte Tiso di Camposampiero si trasferì nel convento di quella cittadina, immerso nella quiete della verde campagna, per potersi riposare.
Qui una sera il conte Tiso fu testimone di un fatto prodigioso: vide frate Antonio estatico stringere tra le braccia, in una nube di luce, Gesù Bambino. Nella tarda primavera del 1231, Antonio fu colto da malore.
Deposto su un carro trainato da buoi, venne allora trasportato a Padova, dove aveva chiesto di poter morire.
Giunto però all’Arcella, un borgo della periferia padovana, la morte lo colse. Spirò mormorando: “Vedo il mio Signore”.
Era il 13 giugno, e aveva solo 36 anni. In quel momento i bambini della città (così raccontano le memorie dell’epoca) senza essere stati informati da alcuno, uscirono dalle case gridando: “E’ morto il Santo, è morto il Santo! “.
In un momento tutta la città seppe della morte di Antonio e subito iniziarono le contese per il possesso delle sue spoglie che il borgo di Arcella voleva trattenere contro la volontà del vescovo e delle autorità civili. Alla fine i cittadini di Padova ebbero la meglio e venne sepolto nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, il rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica.
Appena un anno dopo la morte, la fama dei tanti prodigi compiuti convinse Gregorio IX a bruciare le tappe del processo canonico e a proclamarlo Santo. La fama di taumaturgo per molto tempo oscurò le doti di dottrina del Santo padovano, ma poi la Chiesa gli rese giustizia proclamandolo nel 1946 dottore della Chiesa universale.
Antonio è uno dei santi più amati e venerati nella Chiesa cattolica. Invocato per le sue eccezionali virtù taumaturgiche, egli è semplicemente “il Santo”. I devoti ammiratori gli hanno dedicato a Padova, alcuni anni dopo la sua morte, una grandiosa e stupenda basilica, ricchissima di preziosi capolavori, da secoli ininterrottamente meta di pellegrinaggi da tutto il mondo.
Pio XII l’ha definita “clinica spirituale”, per i prodigi interiori che di continuo lì si compiono.
La fama di Antonio è grande in tutto il mondo, ovunque si incontrano segni e testimonianze della sua devozione e delle grazie ricevute per suo tramite.
Al fianco di Francesco, suo padre e ispiratore, è una delle figure più eminenti della storia della Chiesa e dell’intera umanità.
Il 13 Giugno si celebra la sua festa.
Francesco Sarra Minichello. Il Santo dei Miracoli. USA, 2011.